Domenica mattina

È domenica mattina.

Sono nella vecchia casa di mia madre.
Apro gli occhi: l’odore di caffè pervade la stanza.
Timidi raggi di sole penetrano dalla finestra semiaperta.
Posso scorgere le nuvole che colorano il cielo come un pastello bianco,
formando scarabocchi apparentemente senza un senso.

Mi guardo attorno: i vecchi mobili di quella che, fino a pochi anni prima, era la mia stanza
profumano di giovinezza, di una spensieratezza perduta.
Una lacrima di commozione.

Decido di alzarmi.
Mi dirigo verso la cucina, passando per il soggiorno.
E lì, nell’angolo,
una poltrona vuota.
Quella di mio padre.
Mi sembra ancora di vederlo,
coi suoi vecchi occhiali sgangherati,
lo sguardo un po’ burbero e il viso segnato dal tempo.
Sale la malinconia:
un’altra lacrima mi solca il volto.

Arrivo in cucina e vedo mia madre che mi prepara la colazione.
Il suo sguardo, invece, è spento,
rassegnato,
soffocato dalla solitudine.
Inerme.
Incapace di reagire a un amore ormai perduto.

Non riesco a pronunciare parola.
Mi limito ad accucciarmi accanto al caminetto acceso.
La guardo mentre poggia la tazza di latte caldo accanto a me.
Lei non ricambia lo sguardo:
la vedo persa tra i suoi pensieri.

C’è tanto silenzio,
ma di quello che fa rumore.

Vorrei poter dire qualcosa,
ma mi limito a sorseggiare il mio cappuccino,
contemplando il fuoco,
vedendo zampilli di fiamme.

La vita scorre.
Io sono cambiata, ed anche mia madre lo è.
Questo continuo divenire
che spaventa,
che taglia,
che divide,
che spacca,
ma che forse unisce
e trasforma tutto in qualcosa che ancora non so definire.

Decido di fermare la mia immaginazione.

È solo domenica mattina.
Ed io sono viva.
E mia madre con me.

È solo domenica mattina.